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Poverello di ieri, modello di oggi: Francesco e i giovani alla ricerca del senso della carità
Incredibile come, da 800 anni, san Francesco con la sua semplicità ed insegnamenti, continui ad essere ancora oggi una figura di grande ispirazione, perché con il suo agire, offre un esempio che invita a riscoprire il valore della solidarietà, della compassione, nel senso che diamo alla nostra vita, al rispetto di ogni creatura e del creato, al trovare l’essenza stessa della vita nel dono di sé agli altri facendoci uscire dall’egoismo. Credo che questo dono di sé, sia in Francesco, il senso della carità, a tratti sovrapponibile alla giustizia sociale, dove chi ha di più “restituisce” a chi ha meno. Ma se chi ha di più non è in grado di farlo, allora tocca a chi è più prossimo “restituire”, nella certezza che il Sommo Bene e la Provvidenza doneranno ad entrambi il centuplo. È questo, forse, l’aspetto più bello della Carità e del dono di sé: Restituire. Il santo ce lo insegna con tanti gesti della sua vita; esemplare può essere l’episodio in cui mentre si trova in quel di Siena, imbattutosi in un povero, dice al suo confratello: “dobbiamo restituire il mantello a questo poveretto, perché è suo. Noi l’abbiamo ricevuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero. […] Io non voglio essere ladro, e ci sarebbe imputato a furto se non lo dessimo a uno più bisognoso” (Vita seconda di Tommaso da Celano. ff674).
Restituire diviene per Francesco una questione di rispetto della dignità altrui, nella profonda visione che non siamo padroni di nulla (e leggendola sotto questo aspetto non possiamo far la carità), ma
siamo dei poveri che gratuitamente hanno ricevuto da Dio e una volta riconosciuto ciò, si impegnano per restituirlo al proprietario (cfr Mt 10, 8).
Fare un atto di carità è riconoscenza verso il Padre, datore di ogni bene e riparare ad un’ingiustizia ridando al legittimo proprietario quanto gli è stato tolto. È un invito a rileggere in una visione diversa la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,29-37), dove il prossimo non è chi ha bisogno, ma sono io che decido di farmi prossimo a lui, più vicino possibile, fino a condividerne lo stato. Il bisognoso, nella società moderna è sempre visto come l’indigente ai margini della strada, ma allargando la visuale diviene l’anziano solo, il bambino isolato, il malato, il carcerato… Francesco ci credeva veramente in questa condivisione e compassione (moto dell’animo che ci fa sentire dispiacere o dolore de’ mali altrui, quasi li soffrissimo noi "Dal Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani 1907-1926"), al punto da vivere, nei primi anni della sua conversione, nei lebbrosari, nei luoghi ai margini della società e della città. Lì, in quei luoghi, ritrovava il Cristo che abita in ogni uomo, e prendersi cura di quell’uomo avverava il messaggio di Cristo stesso: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25, 40).
Francesco e i primi frati vivevano lì con loro, li servivano, curavano, amavano. I giovani d’oggi, in una maniera sicuramente diversa, fanno la stessa cosa nonostante le tante sfide che devono affrontare,
dimostrando una grande sensibilità sociale e un forte desiderio di cambiare il mondo, impegnandosi in volontariato, in progetti di solidarietà per una società più giusta e equa, facendo rivivere, nel nascondimento alla società e ai vicini, tanti dei carismi del santo: il vivere in semplicità condividendo le risorse; apprezzando le piccole cose semplici; rispettando il creato e l’ambiente; coltivando amicizie sincere; offrendo il proprio tempo e competenze ai bisognosi, ai piccoli. Francesco e questi giovani ci ricordano che si può fare la differenza, si può cambiare tanto, partendo dalle piccole azioni quotidiane, con quella carità verso il prossimo ed il creato che diviene valore universale che unisce popoli, lingue e nazioni, perché è dinanzi alla carità vissuta che cadono tanti costrutti della società e del proprio io. La carità vissuta ci fa vedere e sperare in un mondo diverso, migliore. La carità diviene la base e la forza per un cambiamento, perché ci apre alla visione di essere chiamati per Dio e da Dio, facendoci capire che essa “è il vincolo della perfezione” (Col 3, 14).
Lo stesso Papa Francesco, qualche giorno fa, in un discorso ai membri del Movimento internazionale di studenti cattolici “Pax Romana” (19 settembre 2024), ha pronunciato parole che possono essere riferite ai tanti giovani che si spendono per la carità: “la vostra presenza, la vostra attività - in contesti accademici, negli ambienti di lavoro o per le strade delle città - persegue questo fine operando per costruire un mondo più compassionevole, armonioso e fraterno. […] Promuovere cambiamenti efficaci nelle proprie comunità, servendo così da lievito evangelico”, e potremmo assistere ad una nuova rivoluzione, ad una nuova era, ad una nuova realtà in cui, perdonate l’azzardo letterario, “la carità salverà il mondo” (Fëdor Dostoevskij- L’idiota).
Fr Giuseppe Angelo M. Pecoraro, ofm: dalla parrocchia scafatese al Convento di Cava de’ Tirreni
Fra Giuseppe Angelo Maria Pecorare, 34 anni è nato e vissuto a Scafati sotto l’ombra del manto della celeste Madonna delle Vergini. Ha frequentato studi classici sia al liceo che all’Università di Salerno. Dopo tanti anni trascorsi nella famiglia dell’AC parrocchiale come educatore, animatore, segretario, consigliere, e diverse esperienze di volontariato anche a livello diocesano, conosce i frati francescani presso il Convento di Cava de’ Tirreni. Innamoratosi della luce che hanno nei loro occhi, decide di volerla avere anche lui e non di doverla inseguire e di dar finalmente ascolto a quella voce che bussava alla porta del cuore da diversi anni, e si mette in cammino, fino ad indossare l’abito dei frati Francescani Minori ed emettere la Prima professione dei consigli evangelici questo Settembre. Dopo gli anni di formazione iniziale in diversi conventi della Provincia Salernitano-Lucana, attualmente si trova in studentato, presso il Convento SS. Trinità di Baronissi.